Sali a vedere le mie crestomazie? Una storia di intercapedini di Paolo Romano

Tedjo Edizioni Inutili
2 min read15 hours ago

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Capitolo 1

Sali, se vuoi scoprire

Nella penombra di un pomeriggio che sfumava lentamente verso la sera, il mio sguardo si posò su una porta scricchiolante, dimenticata tra le ombre di un corridoio angusto. Era lo sguardo stanco di chi lo aveva posato su troppe carni non sue. Era una porta come tante, con la vernice scrostata e il manico arrugginito, ma emanava un’energia inquietante, una sorta di richiamo magnetico che sussurrava promesse di rivelazioni e segreti. Il suo cartello, una volta lucido, recitava “Intercapedini: non oltrepassare” in un carattere che sembrava implorare di non essere letto. Ma, ovviamente, leggere era il mio mestiere, e perciò, irresistibilmente, mi trovai a varcare la soglia.

Attraversai la soglia e, come in un sogno, il mondo si trasformò. La luce, filtrata attraverso una finestra rotta, creava giochi di ombre e luci danzanti sui muri, rivelando scritte antiche, segni di storie dimenticate e oggetti che sembravano avere una vita propria. C’era un pianoforte, o ciò che restava di uno; le sue corde, tese e vulnerabili, vibravano al passaggio del vento, producendo note sussurrate di melodie che avevano sfiorato le orecchie di persone lontane. Un orologio, fermo alle 3:15, fissava un momento eterno, un tempo che non si era mai concesso di fluire.

Mi inoltrai più in profondità, in un labirinto di stanze che si aprivano come fiori in un giardino segreto. Ogni porta che aprivo si rivelava un capitolo di una storia incompiuta. In una stanza, scoprii una mappa, disegnata a mano con inchiostro sbiadito, che tracciava le rotte di esploratori mai partiti, illustrando mari di sogni e terre di desideri, tutte ugualmente irraggiungibili. “Ecco,” pensai, “il mio viaggio è cominciato.”

Le intercapedini, luoghi di confine tra il visibile e l’invisibile, erano piene di crstomazie, pezzi di vita cristallizzati nel tempo. Un vecchio lampadario, ridotto a un ammasso di cristalli polverosi, pareva voler raccontare l’eco di risate passate, mentre un angolo di muffa si ergeva come un monumento all’oblio.

In questo universo di cose dimenticate, mi accorsi che ogni oggetto, ogni scritta, ogni sfumatura di polvere narrava una storia. Quella porta, quel corridoio, quell’orologio: tutto era intriso di memoria e desiderio. E, mentre mi perdevo in quel labirinto, capii che le crstomazie non erano solo resti di un passato; erano finestre verso l’anima umana, specchi che riflettevano le nostre paure, speranze e sogni.

“Sei pronto a salire?” si chiese la mia mente, e, come in un dialogo interiore, la risposta era chiara: “Pronto a scoprire, pronto a vedere.”

Fu in quel momento che decisi di lasciarmi guidare dall’ignoto. Le intercapedini mi avrebbero parlato, se solo avessi avuto il coraggio di ascoltare.

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