Paolo Romano e i carciofi alle giudia carbonizzati

Tedjo Edizioni Inutili
3 min read3 days ago

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Paolo Romano non era un cuoco, ma si illudeva di poterlo diventare. Esperto di illusioni irrealizzabili, viveva pacificato nella tensione della ipotesi, lontano dalla noja sopravvenuta del risultato. Unico suo neo, indossare degli imbarazzanti stivaletti da motociclista che aveva comprato di due miure inferiori alla sua, per sentirsi meglio i piedi, diceva alla sua analista. Aveva sempre avuto una passione per la cucina, unita a un’ossessione per il jazz, e, a quanto pareva, quel sabato pomeriggio voleva dimostrare a sé stesso di poter eccellere in entrambe le cose contemporaneamente.
Abitava in un piccolo appartamento a Trastevere, tra le strette stradine che odoravano di storia e traffico e urina. La sua cucina, minimalista e stretta, era il suo rifugio. Quel giorno, Paolo si era prefissato un obiettivo ambizioso: preparare i carciofi alla giudia, un piatto della tradizione romana che richiede pazienza e maestria, mentre tentava di suonare uno dei pezzi più complessi di Pat Metheny, Last Train Home, con la sua amata chitarra elettrica.
I carciofi, disposti ordinatamente sul bancone, attendevano il loro destino. Paolo li aveva immersi nell’acqua e limone come da tradizione, pronto a friggerli. Dall’altra parte della cucina, la chitarra penzolava dalla sua spalla come lo scroto atrofico di un bue, quasi una estensione del suo corpo. La connessione misteriosa tra cucina e musica, pensava Paolo, era sottile ma inscalfibile: entrambe richiedevano timing, sensibilità e l’abilità di dosare gli elementi giusti. Era sicuro di poterle gestire insieme, senza sacrificare né il gusto né l’armonia.
La padella era sul fuoco, l’olio già caldo, e Paolo iniziò a friggere i carciofi, mentre con l’altra mano pizzicava le corde della sua chitarra. I primi minuti andarono sorprendentemente bene. L’odore inebriante dell’olio che sfrigolava si mescolava con le note soffuse della chitarra. Paolo sorrideva, soddisfatto, convinto che stesse riuscendo in quell’impresa surreale.
Ma Pat Metheny non è per i deboli di cuore e per chi ha una appena percepita tendenza a inarcare le gambe quando è concentrato. Quando la melodia iniziò a richiedere tutta la sua abilità tecnica, Paolo si perse in quelle linee fluide e intricate, dimenticando per un attimo che l’olio bollente continuava a fare il suo lavoro implacabile. Le note della chitarra si alzavano e si abbassavano come un’onda, mentre i carciofi, nel frattempo, cominciavano a trasformarsi da dorati a decisamente scuri.
Ad un certo punto, proprio quando Paolo stava cercando di inchiodare un arpeggio particolarmente complesso, un odore pungente lo riportò alla realtà. Si voltò di scatto verso la padella, solo per scoprire che i suoi carciofi, un tempo promesse dorate di croccantezza e sapore, erano ora neri come il carbone. Il fumo si alzava minacciosamente, e il fischio acuto dell’olio che bruciava lo fece precipitare nella cucina.
“Merda!” urlò, appoggiando frettolosamente la chitarra su una sedia. Tentò disperatamente di salvare il salvabile, afferrando i carciofi con una pinza, ma era troppo tardi. Ogni pezzo era carbonizzato, ridotto a qualcosa che avrebbe potuto trovare nel fondo di un vulcano.
Seduto al tavolo della cucina, Paolo osservava sconsolato il risultato della sua impresa fallita. I carciofi erano ormai irrecuperabili, e il profumo del jazz di Metheny, che prima sembrava tanto promettente, era stato sopraffatto da quello del bruciato. Si lasciò andare su una sedia, la chitarra ancora vicina, riflettendo sul suo errore. Forse non era il momento giusto per combinare le sue due grandi passioni, o forse era solo una questione di pratica.
Mentre stava per alzarsi per aprire la finestra e far uscire il fumo, il suo telefono squillò. Era un amico che gli chiedeva come andava il pomeriggio.
“Beh,” rispose Paolo con una risata amara, “Metheny è suonato decentemente, ma i carciofi sono andati in fumo. Direi che non è la mia giornata.”
Dall’altra parte della linea, il suo amico rise. “La prossima volta suona i carciofi e friggi Metheny, magari funziona meglio.”
Paolo rise anche lui, chiudendo la chiamata e aprendo finalmente la finestra. C’era qualcosa di liberatorio nel fallimento. Forse non aveva creato un capolavoro in cucina quel giorno, ma almeno aveva imparato una lezione: alcune cose, come il jazz e i carciofi alla giudia, richiedono tutto il tuo tempo e attenzione, e forse non sempre è il caso di farle contemporaneamente, soprattutto se una delle due rischia il processo chimico della carbonizzazione.

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