Lo yogurt del professore

Tedjo Edizioni Inutili
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Il professore, il capo chino, lo sguardo corrugato sopra le lenti che, come al solito, scivolavano giù sul naso un po’ adunco, tentava per la settima volta — no, ottava, forse nona — di aprire quel maledetto vasetto di yogurt greco, marmoreo, titanico, un Ercole del latticino. Le dita, ormai aggranchite, strizzavano la plastica con una furia crescente, mentre il sudore freddo gli correva lungo la fronte, scivolando lungo la nuca fino a infiltrarsi tra le fibre del colletto della camicia, già umida di tensione accumulata.

“Maledizione!” bofonchiava a denti stretti, con quella voce mezza rauca e mezza implosa che da tempo lo accompagnava nei suoi soliloqui di ordinaria frustrazione. “E che sia mai questo, un marchingegno degno d’Icaro, figlio di Dedalo? Un ordigno pensato da qualche malfattore della plasturgia per frustrar lo spirito dell’uomo moderno, già provato dalla fatica del vivere, e ancora più dal disperar di capire?”

Arturo, il soriano rosso, pacioso come solo un gatto enormemente sovrappeso e beatamente ignaro può essere, sonnecchiava placidamente sul divano. Il suo corpaccione era adagiato con aristocratico menefreghismo sull’ultima fatica di Walter Veltroni, un libro giallo di dubbia utilità ma comodo quanto basta per accogliere il gatto con mollezze narrative. Il professore lo guardò di sbieco, quasi con invidia per quella sua noncuranza, quel suo modo di ignorare superbamente i drammi della cucina e della vita.

Ma il vasetto — il vasetto era un altro affare. Ogni strattone, ogni torsione, faceva scricchiolare la plastica, ma nulla si muoveva. Il sigillo ermetico resisteva con un’arroganza sovrumana, come se il produttore avesse infuso nella confezione l’essenza stessa di tutte le sue frustrazioni esistenziali. Le dita ormai scivolavano, l’ira montava, e a un tratto, come un vulcano represso troppo a lungo, il professore esplose.

“BASTA!!!” gridò, e l’eco della sua voce vibrò nelle pareti, risuonando come un tuono di apocalisse domestica. Con un gesto disperato e furibondo, lanciò il vasetto contro il muro con la forza di Achille scagliatosi contro le porte Scee. Il contenitore descrisse un arco parabolico nell’aria, atterrando fragorosamente sul muro, dove si schiantò con un plof osceno, viscido, spandendo yogurt greco come fosse la calce liquida dei sogni infranti.

Lo yogurt, candido e denso, disegnò una scia spettrale lungo il muro, ma il suo destino era ancora più crudele. Con uno schiocco quasi umido, la massa biancastra ricadde, inesorabile, su Arturo.

Il soriano, che fino a quel momento aveva goduto di una beatitudine inenarrabile, si ritrovò improvvisamente coperto di yogurt, una coltre lattiginosa che aderiva al suo mantello rossastro con perfetta, orribile precisione. Un micio bianco e rosso, improvvisamente vittima di una sorte che mai avrebbe potuto prevedere. Si svegliò con un miagolio strozzato, confuso e scandalizzato, fissando il professore con occhi sgranati e pieni di un’indignazione senza confini.

Il professore, il respiro affannato, le mani ancora tremanti dall’impeto di rabbia, guardava la scena con un misto di sconfitta e impotente vergogna. Arturo lo fissava con quell’aria giudicante che solo un gatto può riservare a un umano colpevole di un simile affronto. Il libro di Veltroni, in tutto questo, giaceva sotto il gatto yogurtato, non diversamente immacolato dal felino. Un peccato, o forse una beffa, su cui riflettere nelle future solitudini della cucina.

4o

Hai detto:

scrivi un breve racconto nello stile di Philip Roth del professore che non riesce ad aprire un vasetto di yogurt greco e si incazza e urla e lancia contro il muro il vasetto che si rompe e fa cadere tutto lo yogurt addosso ad Arturo, il grosso soriano rosso che dormiva comodamente adagiato sull’ultimo libro giallo di Walter Veltroni

ChatGPT ha detto:

ChatGPT

Il professore, 58 anni, vedovo, con una cattedra di letteratura moderna che non gliene fregava più nulla, si ritrovava ancora una volta di fronte alla sua nemesi quotidiana: un semplice vasetto di yogurt greco. Ma non era semplice, no. Lo yogurt, denso e opaco, racchiuso in quella maledetta confezione con un coperchio di plastica che sembrava saldato con l’acciaio inossidabile, non si sarebbe aperto così facilmente. Niente in quella fase della sua vita si apriva facilmente. Tutto sembrava sigillato, incapsulato, resistente alla sua volontà. Compreso lui stesso.

Le sue mani, che solo un decennio prima avrebbero potuto sfogliare un libro di Joyce senza tremare o incazzarsi, ora si accanivano contro il coperchio con la forza disperata di chi non ha più molto da perdere. Il sudore cominciava a formarsi sulle tempie, mentre il coperchio, con un beffardo e inspiegabile rifiuto, non si mosse di un millimetro. Il professore digrignò i denti, serrò le labbra, sentendo quel vecchio familiare montare di rabbia che conosceva così bene, come un nemico che si ripresenta sempre alla stessa ora. Ma è solo yogurt!, si ripeteva, come se bastasse pronunciare quelle parole per rendere la cosa meno umiliante. E invece no.

Di fronte a lui, sulla poltrona, Arturo, il gatto grosso, rosso e completamente incurante, dormiva in una posa regale, adagiato sul libro di Veltroni che aveva lasciato incustodito. Un altro giallo mediocre, pensò, senza il minimo affetto o nostalgia per quel tentativo letterario che già sapeva avrebbe finito per dimenticare. Arturo russava leggermente, un suono flebile ma infastidente, come se persino il gatto stesse dandogli sui nervi quella mattina.

Finalmente, dopo un ultimo, estremo tentativo di torsione del polso — uno di quelli che nelle sue fantasie poteva provocargli un infarto lì, in cucina, un infarto definitivo che lo avrebbe liberato da tutto — il professore cedette alla rabbia. Un grido esplose dalla sua gola: “Merda! Basta! Fottiti!”.

Con una violenza insensata, lanciò il vasetto contro il muro. Il rumore fu sorprendente, un impatto sordo seguito da un suono molle e disgustoso. Il coperchio si spaccò, finalmente libero, ma non nella direzione prevista. Il contenuto denso e bianco si sparse come una colata lenta di cemento, volando con una traiettoria inesorabile verso Arturo, che fino a quel momento aveva conosciuto solo giorni di comodo letargo.

Lo yogurt cadde a pioggia sul soriano, imbiancandogli il dorso, riempiendogli il pelo di quella sostanza grassa e cremosa, mentre il gatto si svegliava all’improvviso, scattando su come un felino impazzito, sgomitando tra i cuscini, il libro di Veltroni scivolando con lui a terra.

Il professore, stremato dalla sua esplosione, restò a guardare la scena con una sorta di apatia post-collera. Era successo. Lo yogurt era ovunque. Sul muro, sul pavimento, sul gatto. Arturo lo fissava con uno sguardo di puro disprezzo, l’unico essere vivente nella casa capace di odiarlo ancora più di quanto si odiasse lui stesso in quel momento.

Questo è il punto in cui sono arrivato, pensò il professore. Non riusciva nemmeno ad aprire uno yogurt senza distruggere qualcosa. E mentre raccoglieva il libro di Veltroni da terra, la copertina sporca di yogurt e il gatto ancora sotto shock, si accorse che non c’era più nulla da riparare.

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