La signora milanese iscritta al FAI

Tedjo Edizioni Inutili
3 min readJul 22, 2024

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La signora milanese iscritta al FAI si era decisa ad iscriversi ad una associazione che le interessava quanto il sesso delle carpe del laghetto davanti a casa solo dopo che la visita dal ginecologo le aveva restituito un quadro di assoluta normalità, il fatto che non avesse più mestruazioni a 59 anni era del tutto normale, anche se uno dei suoi tre chirurghi estetici l’aveva descritta come una magnifica quarantenne, subito dopo aver ricevuto conferma del bonifico transitato sul suo conto corrente. La scossa gli era arrivata da un impercettibile, per gli altri, trasalimento del suo orologio iperdigitale atto a ricevere mails fare caffè illuminarsi ad abundantiam accompagnare la sua vita anche nei momenti più inutili, quali quelli durante i quali riceveva del denaro dalle sue pazienti che sentendosi quarantenni, non capivano perché non avessero più il loro appuntamento mensile con la fertilità. L’iscrizione al FAI permetteva, tra le altre cose, di visitare alcune delle più belle ville e villotte e villazze della sua zona ed essendo socia fondatrice e patrona delle arti e dei mestieri, quali arti poi, e quali mestieri, una delle attività che avrebbe dovuto donare alla Associazione era quella di stare in piedi accanto alle porte aperte delle villotte, lei si era specializzata in queste, le ville e le villazze erano di competenza delle amiche over seventy, fingere di essere felice di essere lì, fingere di non indossare scarpe con 36 cm. di tacco e fingere di sapere chi erano gli autori dei quadri appesi alle pareti. Il tutto con la trasognata noncuranza di chi non ha nessuna intenzione di fare quello che sta facendo ma che pensa, nel retro delle sue stanze cerebrali, che se non lo facesse sarebbe peggio, e in questi saloni pieni di quadri che non conosceva e tappetti che, pensava, sarebbero stati meglio nella sua casa al mare, di solito c’era sempre una leggera aria condizionata, che le permetteva di respirare l’aria infuocata delle estati lombarde senza eccedere nella enfiagione dei suoi seni paranasali, di recente costruzione, Una sola volta, rimasta perfettamente incisa nella sua mente bicamerale, era successo che in una comitiva di visitatori svettasse, per altezza e colore dei capelli, un rosso vivo che aveva conosciuto la speranza del castano, una pallida imitazione di una femminista di sinistra che, con una borsa di tela riciclata con alcune strane scritte in tedesco e un paio di incongrui, per la signora, pantaloncini corti con tasche applicate ai lati avesse alzato il suo dito indice e, con voce insolitamente vibrante, avesse indicato una scritta a caratteri cubitali che ornava tutto il salone e che lodava in modo fragorosamente acritico il ventennio fascista nella persona del suo fondatore: la signora milanese, equidistante dalla politica e da ogni forma di pensiero minimamente evoluto perché la politica non paga gli alimenti ma gli ex mariti sì, sia di destra che di sinistra che di centro, aveva alzato le spalle, si era drappeggiata uno scialle in seta del Borneo intorno al collo con la decisione e la destrezza con la quale Horatio Nelson aveva dato inizio alla battaglia di Trafalgar e, fissando la rossa anguicrinita le aveva sibilato, fissandola nei rotondi e spalancati occhioni femministi “Beh, certo, questa è storia, è storia” e si era girata verso il ritratto della baronessa Manfredi, la padrona di casa, deceduta per una rovinosa caduta da cavallo nella lontana estate del 1911. Meglio le baronesse decedute che le rivoluzionarie in visita, signora mia. Quelle almeno non parlano.

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